giovedì 21 aprile 2016

Parole, che peccato!

Che il significato delle parole mi sia di parecchio interesse è ormai noto.
Il loro significato reale e anche quello acquisito, quello di diritto, come si dice.
Come quelle consuetudini che diventano legge pur non essendole.

Le parole, la base della comunicazione. Almeno così si vorrebbe.

Mi trovo invece a pensare che le parole delle volte siano soltanto in più.

Ci sono sguardi che parlano, sorrisi che urlano.
Gesti, balletti, giravolte, saltelli che cantano.
Abbracci che vibrano.
Vibrano di parole, esondano di discorsi, trasudano frasi.

Eppure l'unica cosa a cui riusciamo davvero a fare caso, rimangono ancora loro, le parole!

Non importa se tutto il resto del corpo dice acqua, quando lo sbattere della lingua sui denti e la vibrazione delle corde vocali, formulano fuoco!
Non importa se gli occhi dicono "eccomi", se le parole pronunciano "non lo so"!
Non è tenuto in considerazione quando un abbraccio dice "lo voglio", se poi pronunci un "non lo voglio!".

Un gran casino insomma, ste parole!
Coinvolgono e sconvolgono alla velocità della luce.
Vorresti imparare a collegare anima e bocca per pronunciare solo quelle giuste, ma non sembra così immediato!

Vorresti..

Le parole partono sempre dalla testa, e da li dovrebbero arrivare direttamente alle labbra.

E invece fanno un percorso tortuoso, dal cervello, passano attraverso gli occhi, l'immaginazione, l'illusione; arrivano fino all'anima e li trovano un groviglio di esperienze passate, la paura, la rabbia; si bloccano un attimo su quelle cicatrici, saltano oltre verso il cuore dove vengono pervase dal calore delle aspettative, dal fuoco dei desideri e solo allora arrivano alle corde vocali.

E vorresti che almeno uscissero, da quella bocca, accompagnate da tutto il resto del corpo, come se il corpo fosse la musica di una canzone.

E sempre più spesso, invece, arrivano alle dita e di li escono sterili, silenziose, taglienti, piene solo del loro significato reale e di facili fraintendimenti!

Ed allora è solo un gran peccato!

mercoledì 13 aprile 2016

Evoluzione. [extra-terrestri]

“Tanto tempo fa, i marziani e le venusiane si incontrarono, si innamorarono e vissero felici insieme perché si rispettavano e accettavano le loro differenze. Poi arrivarono sulla Terra e furono colti da amnesia: si dimenticarono di provenire da pianeti diversi.” 

-Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere-


Noi donne, tra di noi, parliamo molto!
Noi donne, quelle come me, ci ammazziamo di introspezione.
Abbiamo la necessità di capire sempre il perché, svisceriamo parola per parola tutto ciò che esce dalla bocca, dalla bocca di un uomo.
Elaboriamo metafore, individuiamo assonanze.
Guardiamo dietro le ombre.
Ribaltiamo i paragrafi, invertiamo i soggetti. 

Analizziamo ogni verbo: 
"Ha utilizzato il futuro!" "Buon segno, ti vuole nel suo domani!"
No, cara, no! 
Dovrebbe stupirti solo il fatto che sia riuscito a coniugare un verbo, spesso, nient'altro!

Poi un giorno incontriamo un altro uomo, uno di quelli amici, uomini amici delle donne. Spesso omosessuali, ok, comunque cromosomicamente maschi!
Parliamo loro per ore di quello che abbiamo pensato lui volesse dire, fino a che ci intima di soffermarci solo su quello che ha realmente detto!
Ci sta dando delle paranoiche! E noi abbiamo gli occhi lucidi, a prescindere!

Si apre un mondo nuovo. 
Iniziamo a concentrarci sul suo, di lui, punto di vista!
Entusiasmante!
Scopriamo che sono esseri semplici, primitivi.
Amano le donne femmine.
Analizziamo il concetto di femmina e scopriamo che, ok, a noi donne, noi donne come me, ci appartiene si, ma ormai così lontanamente.
Scopriamo anche che essere femmina, piace da impazzire anche a noi!
Ed è anche estremamente meno faticoso.
Noi donne, noi donne come me, non lasciamo nulla al caso.
Ora abbiamo un amico, un maschio, che ascolta le nostre paranoie senza freni e ci aiuterà ad entrare nella testa di un uomo.
In noi, i fuochi d'artificio!

I primi consigli funzionano alla grande.
Il nostro amico maschio è meglio di Sex and The City!
Ogni volta che l'uomo, si, lui, comunica con noi, siamo concentratissime sulle raccomandazioni che ci sono state fatte!
Sono una femmina, una femmina di quelle che piace agli uomini!
Un mantra!

Poi, irrimediabilmente arriva. 
Arriva il giorno che il punto di vista di un uomo, non riusciamo davvero ad accettarlo, figurarsi ad utilizzarlo come base di comportamento.
Non siamo assolutamente d'accordo.
Noi siamo donne, femmine, ma donne.
E un uomo non può davvero pensare e volere questo!
Le teorie del nostro amico, maschio, sono in discussione!
Lui, ovviamente, getta la spugna! Siamo delle paranoiche conclamate!
Non c'è salvezza!

E facciamo di testa nostra. 
La nostra testa, quella delle donne, delle donne come me!

E forse sbaglieremo, non saremo comprese e nessuno dei nostri perché avrà mai una risposta.
Ma rimarremo donne, ottimi esemplari di femmine.
E loro uomini, ottimi esemplari di maschi!

Spesso insieme, più o meno felicemente.
Spesso soli, più o meno felicemente!

Ognuno con il proprio punto di vista!

E mi chiedo, fino a che punto è giusto spingersi ad entrare l'uno nel punto di vista dell'altro?
Quanto è funzionale provare a diventare femminili esemplari di maschio, per capire un uomo?
Alla fine, se siamo così diversi, ci sarà un primitivo motivo. O no?


martedì 5 aprile 2016

/scélta/


/scélta/
femminile, singolare
Atto volontariorazionale o impulsivo, che avviene nel momento in cui si presentano più alternative possibili delle quali assumendone una, e talora più di una, si può tradurre il giudizio in una successiva e conseguente azione.

Il vocabolario parla chiaro.
Cosa tipicamente femminile e singolare, volontaria, più o meno razionale, che richiede coraggio nel farla, ma soprattutto nell'affrontarne tutte le conseguenze.

Ho scelto in continuazione, in modo oltremodo femminile [con l'emotività al massimo], esageratamente singolare [tradotto, di testa mia], spesso troppo impulsivo [mossa da un innato ottimismo], con coraggio [o spregiudicatezza].
Ma soprattutto me ne sono sempre assunta tutte le conseguenze [quelle buone e quelle meno].

Ho vinto, tante volte, ho sbagliato e ho perso. E ogni volta, comunque, ho imparato.

Che cosa?

Che l'emotività andrebbe gestita, che il confronto è sempre un valore aggiunto, che l'impulso va sempre bilanciato da una buona dose di razionalità, che l'ottimismo richiede lungimiranza, che il coraggio deve sempre arrivare dopo un'iniziale e sana paura.

Ho imparato la consapevolezza e a mettermi in discussione.

Ho imparato che per quanto possa essere confortante cercare inutili capri espiatori, la colpa o i meriti di ogni scelta, sono sempre di chi la scelta la fa.

Ho imparato che diventando grandi fare delle scelte è sempre più faticoso, perché l'esperienza "segna".

Che rischiando solo un'altra piccola ferita, su cicatrici ancora fresche, rischi l'emorragia.

Che la paura, alla quale consenti di precedere la spregiudicatezza, li per li ti blocca, ti immobilizza.
Inizi a fare i conti con il tempo, che passa, e con tutta la confusione che vederlo fuggire ti provoca.

Irrimediabilmente sceglierai ancora. 

Dovrai farlo continuamente.
Con una fatica enorme.

E arriverà anche il giorno che vorresti non doverlo fare.

Che spererai che le cose accadano, non solo come devono accadere, ma come vorresti tu.

Con semplicità.
Senza fatica.
Naturalmente.
In equilibrio.