giovedì 24 settembre 2015

EMPATICA

empatia
em·pa·tì·a/
sostantivo femminile

"Se tu sei felice, anch’io sono felice."

e io aggiungo....

"Se mi pensi forte, entri talmente in contatto con me, da modificare il mio comportamento, le mie decisioni, le mie azioni, la mia strada. Se mi pensi forte, mi trovi, ovunque io sia!"

Capita a volte di scontrarsi con anime così affini alla tua da farti quasi paura.
E' un momento magico, in cui ti rendi conto dello scorrere dell'energia nell'aria.
Della presenza di sottili vibrazioni impercettibili ai più che invece permeano il tuo tessuto corneale e quello di una seconda persona.
Onde, fili invisibili, che sfiorano due persone, vicine ma anche, e soprattutto lontane.

Ti metti in discussione. Metti in discussione la tua mente, le capacità nascoste e sconosciute del tuo cervello. E di quello di qualcun altro. 
Ti senti piccolo davanti a tanta potenza.
Forse incontrabbile. Sicuramente migliorabile.

Sei una persona empatica. E lo sei nei confronti di un'altra persona empatica.
Non nei confronti di tutti. 
Questo crea un legame. Spesso silenzioso. Talvolta incompreso.
Qualche volta sottovalutato.

Sicuramente non voluto. Assolutamente non razionale!

Mi era già capitato in passato: io seduta sul mio letto, nella mia camera, al sesto piano di un palazzo, a due minuti dalla brulicante vita del centro di Milano. 
Apro un cassetto e tiro fuori delle vecchie foto stampate, pagine plastiche un po'appiccicate dal tempo trascorso senza che nessuno le aprisse.
Foto di una vacanza di una decina di anni prima.
Circa un milione di teste, di cervelli, di persone, tra me e l'altra persona.
Lei, nel suo ufficio, in un palazzone della prima periferia di Milano. Uno schermo, un messaggio in arrivo di qualche giorno prima, con le foto di una vacanza di una decina di anni prima. Un tramite, una terza persona che quel messaggio lo aveva inviato.
Io, con un sorriso, un po' di nostalgia e commozione negli occhi, scatto una foto con il telefonino alla stampa nelle mie mani. 
La invio a lei. 
Lei stava guardando in quel preciso istante la stessa foto, su quello schermo, da quel messaggio arrivato qualche giorno prima.
Circa un milione di teste, di cervelli, di persone, e una decina di kilometri distante da me!

Curiosando nel web ho trovato un divertente test.
Sotto il mio risultato e il link per raggiungerlo.

Hai buone doti empatiche. Sei capace di sintonizzarti con gli stati d’animo di chi ti sta di fronte. Ma non intendi esagerare. Qualche volta non capisci, e qualche volta fai finta di non capire. Hai stabilito che essere empatici va bene ma dare l'anima per gli altri no. Cerchi di valutare di volta in volta se il tuo interlocutore meriti uno sforzo empatico da parte tua o se stia pretendendo simpatia ad ogni costo, compassione, pietà. E in tal caso tendi a tagliare corto. Questione di sopravvivenza.
Tutto sommato penso che Very Normal ME stia veramente scegliendo la sopravvivenza, in questo momento, anche se qualcuno il modo di raggiungerla sembra trovarlo sempre!
Divertente, no?

venerdì 18 settembre 2015

EVOLVING

Quando una donna torna in contatto con se stessa….

E’ passato più di un anno. Avevo promesso a settembre dello scorso anno che avrei affrontato l’argomento, ma fino ad oggi non lo avevo più fatto. Almeno in modo esplicito.

Very Normal ME non vive più a Milano.
Che Milano le stesse stretta si era capito, probabilmente!
Il traffico, i parcheggi impossibili, la frenesia.
Il vivere in bianco e nero troppi mesi su dodici.
La continua ricerca dello spazio.
Il sentirsi soli in mezzo a fin troppe persone.
L’attesa del fine settimana per fuggire.
Il mare, troppo lontano. La mancanza di aria, di salmastro, di sabbia, di onde, di alghe, di profumo di mare.
La ricerca di stimoli continui.
La ricerca di se stessa, incessante!

E poi, le radici, le radici che prima o poi ritirano a se!

Very Normal ME è tornata a casa! Da più di anno!
Con i suoi boys!
Due su tre!

Very Normal ME si era completamente persa.
Persa ad inseguire sogni che non le appartenevano.
Illusa che potessero esserlo, anche suoi.
La consapevolezza, poi, un giorno, di chi era veramente e di cosa voleva.
Ovvero, la consapevolezza di che cosa assolutamente non voleva.

Aveva voglia di se stessa.
Cavolo, se si mancava!

Cavolo se è difficile parlare di questa cosa!

Sarebbe molto più semplice e forse più utile parlare dell’aspetto pratico del cambiamento.
Come progettarlo. Cosa fare. Come affrontarlo. Quali sono le priorità.
Certo in questo anno di passi ho avuto modo di farne tanti.
Tanti sbagliati anche.
E solo sbagliando così tanto si può forse capire come non sbagliare più.
Ma l’atto pratico arriva sicuramente dopo quello emotivo.
Soltanto dopo aver affrontato il cambiamento interiore si è davvero pronti ad affrontare quello esteriore.
E averlo affrontato vuol dire solo essere all’inizio.

Cambiamento.
Cambiamento che vuol dire coraggio e paura nello stesso momento.
Che significa iniziare a vivere con se.
Cambiamento che passa attraverso la sofferenza. E non solo la tua.
Uno specchio dove si riflettono insieme a te, la tua infanzia, i tuoi genitori, le loro scelte, le tue di scelte.
Uno specchio affollato, dal quale piano piano devi far scomparire tutto il resto, affinché rifletta solo te.
Ci vorrà una vita intera. Probabilmente.

Diventi la pala di un frantoio.
Giri e schiacci, con lentezza e perseveranza.
Per estrarre la parte migliore, scarti e escludi.

Per trovare te a volte sei costretta a costringere qualcun altro a trovare se stesso.
Ma il motore ormai è acceso.
E le pale trascinano con se tutto quello che ci cade dentro.

Inizi a scaricare per strada zaini e zavorre, piene di occhi, di sguardi, di odori, di sapori.
A volte ti girerai dopo averli scaricati perché la nostalgia per averlo fatto sarà già fortissima.
In ogni zaino alla fine, tra le cose brutte rimane sempre anche qualche cosa di bello.
A volte ti stupirai, ferma su quella zavorra, a squadrarla. Ormai abbandonata su quel sentiero. Non ti chinerai a recuperarla. Ma sei li, immobile, e la guardi!
Altre volte ti scoprirai a tornare indietro a recuperala.
Altre volte a scappare via di corsa per allontanartene il più velocemente possibile.
Altre volte ti scivolerà dalle mani e ti accorgerai di averla scaricata soltanto in un secondo momento. E non sarà male, quando te ne accorgerai.

Cambiamento.
E Very Normal ME si vede camminare su quella strada.
Un sentiero color della terra, sorridente e allegra, illuminata finalmente dal sole, circondata dal verde e dall’azzuro.
Non più sola in mezzo a troppa gente.
Very Normal ME si vede respirare a pieni polmoni.
Più o meno spensierata. Più o meno leggera o alleggerita.
Però in cammino.
Qualche zavorra lasciata alle spalle. Altre ancora sulle sue spalle.
Qualche volta è li, immobile a fissarne una. Combattuta a pensare se abbandonarla completamente o recuperarne qualche pezzo.

Davanti a lei è tutto ancora ignoto. Ma sa che ne vale la pena.
Come in un videogame, dall’alto si palesano sul sentiero dei punti interrogativi. E lei deve affrontarli. Continuamente!
Alcuni sono più sottili e semplici, altri sono spessi e terrificanti.
A volte ci mette giorni a superarne uno. Alcuni la bloccano su quel livello e sembra impossibile andare avanti. Delle volte è scoraggiata. Pensa di non superarlo mai, quel livello, quel punto interrogativo nero e spesso.
Ma alla fine è solo questione di tempo.
Il tempo le donerà gli strumenti per affrontarli tutti, i più sottili e quelli peggiori.
Lei lo sa.

E non è una che si arrende facilmente!

martedì 15 settembre 2015

DISORIENTATA!

Eccoci!

Un Big Boy di quasi nove anni e le prime avvisaglie di pensiero futurista.

Perché è questa l'età in cui i bambini iniziano a pensare al futuro, vero?

Confusa, devo dire, mi accingo a rispondere alle sue domande, cercando di ascoltarlo sempre e soprattutto di guardarlo, di visualizzarlo, di carpire dai suoi atteggiamenti le sue direzioni mentali.

Così, lo scorso ventuno di giugno, solstizio d'estate, guardando negli occhi la mia amica estiva appena giunta con tanto di tredicenne e procace figlia al seguito, le ho subito enunciato il mio presentimento: "gli spezzerà il cuore, al mio Big Boy!"

E, ahimè, avevo completamente ragione!

Giorno dopo giorno la sua estate è stata cadenziata dal pensiero fisso della procace tredicenne, ovviamente poco interessata a lui ma abbastanza carina e amorevole da essergli teneramente amica.
Un disastro! I novenni travisano alla grande, come quarantenni in erba, qualsiasi atteggiamento femminile: nel suo cervello, completamente e irrimediabilmente XY, lei era interessata a lui!

Nel frattempo, probabilmente incosciamente guidato anche dalle faccende familiari, il mio Big Boy mi poneva domande e dubbi sul matrimonio!

"Ma è indispensabile sposarsi? Cosa ci si sposa a fare? E' inutile, non serve! Basta vivere insieme! Giusto?"

E Cavolo Big Boy, se lo scopri fammelo sapere!
Si penso tu abbia ragione, è inutile, l'amore non esiste, è solo un'illusione temporanea! 
---ho solo pensato---

Eh Big Boy! Bella domanda... non so risponderti, perché è una di quelle questioni dove una risposta sola probabilmente nemmeno esiste! 
Alcune persone pensano che coronare il loro amore con il matrimonio sia indispensabile e giusto!
Altre lo trovano superfluo!
Entrambe le categorie nella vita cambiano idea, delle volte!
---ho risposto---
 
Telefonino dotato per ragioni prettamente pratiche, appena la procace tredicenne ha lasciato il lido vacanziero, il mio Big Boy ha passato le sue giornate a tempestarla di messaggini, foto, fotomontaggi, messaggi vocali, enunciandole ripetutamente e assiduamente il suo amore.
Chiedendo addirittura il sostegno del complice Little Boy, che per età è ancora più portato ad intenerire la femmina tipo!

Nulla! La procace tredicenne, tornata al covo, lo ha completamente ignorato!
Giorni di nervosismo, di domande sulle plausibili motivazioni, di giustificaizoni!
Colpe scaricate su chiunque, soprattutto sul tenero complice Little Boy, ovviamente!

Poi ieri sera, ultimo giorno pre-scolare, ha enunciato a se stesso il sopraggiunto limite!
E ha inviato un messaggino a me! New generation communication...

"Mamma! L'ho scancellata!"

Cavolo, Big Boy, sei più forte di tante Very Normal Women che conosco! (me compresa, cavolo!)
Sono fiera di te! E' così che si dovrebbe fare...
Non mi vuoi? Ti SCANCELLO!
---ho solo pensato---

Ah! Ok!
Se ti fa stare meglio...
---ho risposto---

Stasera la sua risposta! Sempre un messaggino, of course...

"Beh! stare meglio no..."

E ora?

Ok! Lo abbraccio, gli porgo i Bucaneve e la Nutella, tiro fuori del gelato con un paio di cucchiaini, metto su Il Diario di Bridget Jones e aspetto che la dimentichi, tra sospiri e lacrime...
---ho solo pensato---

E, disorientata, non ho ancora risposto...



venerdì 11 settembre 2015

SBROCCATA

C'era una volta,
una principessa fortunata.

Era nata un sabato mattina, bella e morbida, subito amata e coccolata dalla sua regina, dal suo re e dai principini suoi fratelli.
Una corte intera aspettava il suo arrivo con ritrovata gioia e speranza per il futuro.
Erano anni felici, la prosperità aleggiava su tutto il regno.

Il re e la regina erano apparentemente una coppia felice e innamorata. Ancora entusiasti e carichi di idee e energie.

A questa principessa, le madrine sagge, donarono subito alcune doti preziose:

  • l'ottimismo e la follia affinché la principessa fosse sempre solare e felice,
  • la logica in modo che potesse sempre agire con il giusto raziocinio, nonostante la follia,
  • uno spirito di farfalla che l'avrebbe mantenuta sempre libera e colorata,
  • l'anima di una sirena, che l'avrebbe tenuta sempre vicino al mare.

Il mare, l'unico elemento che sarebbe sempre riuscito a placare la sua irruenza, la sua esuberanza e l'istinto, naturali conseguenze delle doti appena donatele.

Solo una delle madrine sagge, di nascosto da tutti, aggiunse alle doti, un dono prezioso ma estremamente pericoloso, un dono che la principessa fortunata avrebbe scoperto un po'per volta, un dono implacabile, che se stimolato nel modo sbagliato, avrebbe alimentato la sua follia e le avrebbe procurato diversi problemi.

La principessa fortunata, ebbe un'infanzia dominata dall'amore, un affetto tangibile che la toccava e la stringeva, proteggendola tra mille cuscini morbidi.
Grazie a questo fu da subito una bambina docile ed ubbidiente.
Ma non era casuale che lo fosse; nessuno osava contraddire il suo ottimismo e la sua follia, sempre utilizzate con dosi abbondanti di ragione.
Nessuno aveva ancora stimolato, in questo modo, quel dono subdolo.

Quindi la principessa fu subito la più amata dalle educatrici di corte, studiosa ma simpatica, intelligente e proattiva, una persona vivace e creativa. Era un piacere parlare con lei di letteratura e storia, per ogni argomento trovava lo stimolo per approfondirlo, non era mai sazia, rimaneva sempre con alcune domande, nella sua testa. E si prometteva sempre che prima o poi avrebbe scovato le risposte a tutto.
La principessa fortunata era una che metteva in discussione l'infinito. 
Non capì mai, nemmeno da grande, che cosa volesse davvero significare, quell'otto orizzontale, un numero caduto, sdraiato.
Era solo, secondo lei, un'invenzione, un'illusione temporanea, inventata per accontentare la gente.
(un po'come l'amore, pensò poi un giorno...).

La principessa fortunata otteneva sempre quello che voleva.
Aveva la testa dura di natura, le doti delle madrine sagge l'aiutavano molto a raggiungere sempre gli obiettivi che si prefissava.
Le rimaneva facile, con la sua loquacità unita al sorriso e all'entusiasmo, incantare le folle con le sue parole e portarle sempre dalla sua parte.
Le persone sembravano incantate da lei. Veniva sempre accolta, aiutata e accontentata.
Lei di contro faceva sempre di tutto per meritarsi tutto ciò che conquistava.
Era generosa, sempre disponibile e aveva buoni consigli per tutti.
Il suo entusiasmo era fonte d'energia per tutti coloro che le giravano intorno.
Aveva un'aura dorata, piena di speranza e forza. E lei faceva in modo che tutti potessero attingerne.
Perché aveva capito il valore di avere persone felici e serene intorno.
Alla fine avrebbero arricchito e avvalorato anche lei.

Insieme a lei, crescevano i suoi doni, tutti. Anche quello pericoloso, quello dell'ultima madrina.
Iniziò a palesarsi man mano che la principessa, che amava muoversi, in tutti i significati del termine, usciva dal regno.
Era la ribellione!
Inizialmente erano le domande nella sua testa, il bisogno continuo di capire le cose nel profondo. Solo così, non condividendole avrebbe potuto scegliere di annientarle.
Era una ribellione logica la sua. 
Costruttiva.
Il suo non accontentarsi mai era la punta di questo dono. Non avrebbe mai e poi mai accettato qualcosa che non condivideva e non capiva. Avrebbe lottato fino alla fine per opporsi a qualcosa che non condivideva.
La principessa, però ricordiamo, era una principessa fortunata.
E la sua ribellione era stato un dono, un regalo, non una maledizione.

La sua ribellione la salvò dall'omologazione, dalla piattezza, dalla insana normalità che minacciavano il regno.
L'aiutò a fuggire e a liberarsi da quei cuscini morbidi e protettivi, che però le toglievano l'aria e non permettevano al suo spirito di farfalla e alla sua anima di sirena, di esprimersi.

Riuscì così senza problemi a viaggiare, girare il mondo fuori dal regno. Grazie alla sua curiosità si sforzò sempre di conoscere nel profondo le terre che attraversava nei suoi viaggi. Amava immedesimarsi nelle diverse culture, godere appieno di ogni esperienza che durante i suoi viaggi le si proponeva.

La sua mente diveniva così sempre più aperta. Vivace e solare. La sua curiosità si auto-alimentava. Il suo spirito di farfalla e la sua anima di sirena si nutrivano della ribellione. La logica e la follia (soprattutto) si fondevano nelle sue scelte. Che anche quando sbagliate, la principessa fortunata, accettava come tali. Era brava anche ad assumersi tutte le sue responsabilità.
Le madrine sagge erano state davvero benevole con lei.
Era proprio una principessa fortunata....

Poi un giorno si innamorò.....

(to be continued)






martedì 8 settembre 2015

DISADATTATA!

...vita vissuta.. da una qualunque!

Ad esempio: il pappagallino brasiliano. Dalla sua gabbietta ci pensa tutti i giorni a quanto sia stimolante svolazzare nella foresta. 
Ma poi tranquillo si addormenta nella sua gabbietta arredata. 
Così sicura, così rassicurante, non difficile e anche pericolosa come l'Amazzonia! 

O anche il pipistrello statunitense: ama le luci di Manhattan, il rumore di Time Square, tutte quelle teste piene di capelli ai quali attaccarsi. Ma poi, tranquillo e beato, torna solitario sotto i ponti del Qeens. Che conosce come i suoi sotto-ali, così pacifici, non pericolosi come Manhattan!


INGRATA

...vita vissuta da una chiunque qualsiasi...

Racconto la loro storia, non diversa da quella di molti altri della loro generazione.
Giovani ospiti di una Milano progressista nella metà degli anni ’60. Giovani ragazzi, grandi bambini, troppo grandi per viversi appieno anche il ’68, con i suoi tumulti e la ribellione, con quell’atmosfera che alla lunga avrebbe favorito un po’ l’apertura mentale.
Loro nel ’68 si sono sposati, dopo anni di fidanzamento. Che una volta era una cosa seria, fin troppo. Avevano già previsto dove avrebbero vissuto, come si sarebbero mantenuti, quanti figli volevano, come li avrebbero cresciuti.
Tutto programmato, tranquillo, sicuro. Tutto come desiderato. Ma non da loro. Che forse cosa desideravano davvero non se lo sono mai chiesto.
Loro che, oggi, anziani e depressi, si difendono da qualsiasi cosa dietro ai “tu non lo sai i sacrifici che abbiamo dovuto fare noi, li farei fare a voi..”. Io che risponderei che tutti quei sacrifici in realtà, cari miei, li avete forse più voluti fare che dovuti, inseguendo un concetto di normalità e giusto vivere che acquietava le vostre coscienze e consolava quello che era l’unico sussulto della vostra anima. Apparire. Apparire una famiglia felice, apparire una famiglia media, apparire per appartenere. Appartenere a una borghesia che di borghese aveva ben poco, appunto tanta apparenza e pochi libri, tanta apparenza e tante quinte elementari.
Che non ci sarebbe stato niente di male in quelle quinte elementari, se soltanto fossero state accettate. Da voi stessi!
Quindi un lavoro sicuro, che tutt’oggi lui pagherebbe con la vita a vedercene avere uno a noi, senza per nulla pensare che noi siamo cresciuti completamente all’oscuro da questo concetto e che magari ci va anche stretto.
Quindi, un lavoro sicuro e il più standard possibile. Tranquillo. Tranquilla apparenza.
Una casa il più casa possibile. Tende, tappeti, carta da parati, soprammobili. Un giardino e possibilmente un cane.
Figli. Almeno due. Nati, battezzati di bianco vestiti, i calzettoni con i buchi fino al ginocchio, il gilet, la camicia a quadretti, le ballerine di vernice. Ma solo per i giorni di festa.
Serate serene e tranquille. La cena come rito, tutti insieme, con la tv accesa, la sigla del telegiornale come buon appetito.
Tutto molto standard. Rassicurante, tranquillo. Perfettamente borghese.
La gita domenicale, dopo la messa spesso, o i pasticcini dopo pranzo, sempre gli stessi. Sempre lo stesso, il pranzo domenicale, le solite portate.
Le visite ai parenti nella settimana di Natale, il cimitero il 2 novembre, la passeggiata pomeridiana il 1 gennaio.
Le poche uscite, i “vestiti bene che facciamo le foto”.
Tutto questo venduto per serenità. Tutto questo venduto per normalità.
Alla fine la vita cos’è, non ve lo siete mai chiesto davvero.
L’avete accettata.
Poi siete diventati grandi. Cambia la routine. I figli crescono. Se ne vanno. Poi tornano. Poi se ne rivanno. Avete finito di lavorare. Non avete più il giardino e nemmeno il cane. Le consuetudini del filo di pane tutti i giorni, della scorta di sale e zucchero in casa, del si mangia tutti insieme e la sigla del telegiornale a dare il buon appetito. Le uniche certezze. Come uniche emozioni, diversivi, le bollette da pagare, le riunioni condominiali, una nuova marca di detersivo.
Voi che di sacrifici ne avete voluti sempre fare tanti. E che ora non riuscite a fare il sacrificio di vivere. Gioire. Raccogliere tutto questo seminare che avete fatto. E invece vi chinate soltanto a raccogliere le vostre frustrazioni. I vostri giusto da lanciare ai continui nostri sbagliato.
E io, ingrata e ottusa, che vorrei solo vedervi vivere.
Godere del tempo libero che provate ad occupare in continuazione con obblighi e mestieri che ormai non avete più.
Tempo libero per parlare, viaggiare, scoprire, godere. Del sole, della sabbia, della natura.
Ancora ancorati al non ho tempo che vi ha fatto apparire per tutta la vita così borghesi. Che vi ha fatto sentire vivi. Come se non avere tempo volesse significare essere vivi. Non avete mai fatto il sacrificio più importante. Il sacrificio di usare il vostro tempo per vivere. Avete sempre voluto e preferito essere dannatamente impegnati in qualcosa di dannatamente e illusoriamente importante.
E ora? Ora che diventa ogni giorno più difficile inventarsi qualcosa di così dannatamente importante da rubarvi tutto il vostro tempo? E ora come la gestite la frustrazione? E ora che di tutta quell’apparenza vana non rimane più nemmeno l’ombra? Ora che ci fate con la vostra borghesia? Con la famiglia ipocrita ma perfetta. Con l’amore mai goduto. Mai cercato. Mai domandato? Con quello standard piatto e vuoto?
Sono un’ ingrata quando penso che vi prenderei a schiaffi per smuovervi quello sguardo triste in quegli occhi ormai immobili. Vi scuoterei per rimettere in circolo un po’di linfa.
Provate emozioni, fatevi venire i brividi. Vivete sbagliando! Sbagliate e ridetene! Impazzite felici. Ballate, correte, sdraiatevi sull’erba bagnata, rotolatevi sulle dune di sabbia. Non lavatevi. Uscite con i pantaloni strappati e la camicia stropicciata. Non cambiate le lenzuola. Mandateci a fanculo. Liberatevi dal sacrificio. Per forza sacrificati, per forza di corsa, per forza stanchi, per forza tristi, per forza vecchi.

Respirate!